Ci sono due tipi di canzone. Quelle con un vero finale e quelle che semplicemente sfumano. Le prime sono costruite in modo da culminare in una chiusura coerente col tema esposto. Richiamano in qualche modo le esibizioni dal vivo, dove una canzone non può semplicemente finire nel nulla. Le seconde si congedano dall’ascoltatore ripetendo una frase musicale o un assolo che nel giro di pochi secondi svanisce grazie a un calo del volume. Le prime danno il senso di compiutezza tipica della musica classica, dove le cadenze finali rispondono a precise regole tonali (con qualche notevole eccezione). Le seconde sono il prodotto del lavoro in sala d’incisione, dove la musica può svanire anche se i musicisti continuano a suonare. Pensiamo ai Beatles: Yesterday appartiene alla prima tipologia, Hey Jude alla seconda. Oppure agli AC/DC di Highway to Hell e Back in Black. Secondo William Weir di Slate, le canzoni appartenenti a quest’ultima categoria sono in via d’estinzione. È un male?
Il termine inglese che indica il modo in cui una canzone si dissolve nel silenzio è fade out. Si è imposto grazie all’incisione su nastro: per ottenere l’effetto nel corso di una registrazione meccanica bisognava allontanare la fonte della musica dal fonografo o viceversa il fonografo dagli strumenti. Secondo Weir, il fade out ha avuto il suo picco attorno alla metà degli anni ’80: le dieci canzoni più vendute del 1985 finivano sfumando. Si è imposto come metodo pratico per controllare la lunghezza delle canzoni, oltre a togliere i compositori pop e rock dall’impiccio di inventare un finale convincente. In alcuni casi, è servito come cesura non drammatica di una canzone troppo lunga per finire su un 45 giri, come Tunnel of Love dei Dire Straits che venne divisa fra lato A e B. A partire dagli anni ’90 c’è stata un’inversione di rotta fino ad arrivare ai giorni nostri: fra i pezzi più comprati nel triennio 2011-2013 ce n’è solo uno che sfuma, Blurred Lines di Robin Thicke (si veda il grafico di Billboard.fm). Forse prendere in considerazione solo le Top 10 è limitante. Grandi successi pop come Umbrella di Rihanna o Waka Waka di Shakira si congedano sfumando, ma potrebbe essere vero che i produttori amano brusche chiusure ad effetto come quelle di Toxic (Britney Spears), Bad Romance (Lady Gaga) o Single Ladies (Beyoncé).
Molti considerano il fade out un trucco insoddisfacente se non irritante per chiudere una canzone. A volte, al contrario, è un efficace stratagemma narrativo. Per restare ai Dire Straits, si pensi a come si congeda Telegraph Road: il fade out evoca una dissolvenza cinematografica perfettamente coerente con il carattere del brano. In altri casi, il fade out è un modo per suggerire che la canzone ha una vita che va oltre ciò che è possibile ascoltare. Non sono rari i casi in cui il chitarrista, impegnato in un assolo, sembra trovare una nuova interessante variazione proprio nel momento in cui sopraggiunge il silenzio. Che cosa ci avrebbe raccontato Mark Knopfler se il fade out non avesse messo a tacere Sweetheart Like You di Bob Dylan? In altri frangenti è il cantante a intonare nuove frasi, come Mick Jagger in Start Me Up, David Byrne in Life During Wartime e Robert Plant in All My Love. In questi casi, il fade out premia la voglia di ascoltare di più, è un piccolo regalo (o la promessa di un regalo) a chi presta attenzione alla musica anche quando essa sembra allontanarsi inesorabilmente. In altri frangenti, come Knocking On Heaven’s Door di Bob Dylan, il fade out si ricollega a una sorta di fade in iniziale e la canzone prende le sembianze di un’apparizione venuta da un altro mondo. E poi ci sono le canzoni singalong, caratterizzate da un coro che prosegue ad libitum: da Don’t You (Forget About Me) dei Simple Minds a 40 degli U2, la canzone trova un vero finale solo dal vivo dove il pubblico la prende in mano e la strappa dal fade out, intonandola in coro oltre la fine della musica. Il cantante diventa spettatore e la promessa del fade out viene mantenuta.
Secondo Itaal Shur, autore per Maxwell, Jewel, Enrique Iglesias e noto soprattutto per avere scritto Smooth di Santana con Rob Thomas dei Matchbox 20 (per la cronaca: finiva sfumando), il declino del fade out coincide con l’imporsi della skip culture, ovvero l’impazienza diffusa che spinge ad ascoltare il brano successivo prima ancora che quello in riproduzione sia concluso, un’abitudine incoraggiata dall’uso di dispositivi elettronici come l’iPod. È quello che accade nei club dove i deejay mixano le canzoni eliminando i finali. In altre parole, nella nostra testa di ascoltatori digitali la costruzione dell’atmosfera è di gran lunga più importante della sua risoluzione, qualcosa che potrebbe avere a che fare con l’abbassamento della soglia d’attenzione. Inoltre, annota Shur, software come Pro Tools offrono a musicisti, fonici e produttori artistici la possibilità di costruire facilmente finali convincenti, eliminando la necessità di sfumare la canzone.
Nel libro Sweet Anticipation: Music and the Psychology of Expectation, David Huron della Ohio State University afferma che il fade out serve per rimandare in modo indefinito la chiusura di una composizione. «L’azione dello stop è rimpiazzata da un gesto teso all’infinito». A differenza delle canzoni con una vera chiusa, la parola fine non viene pronunciata. «Perciò il fade out» afferma Weir «offre speranza di fronte alla morte e un senso d’infinito. Forse è una fuga dal mondo fisico o il desiderio dolceamaro per ciò che non può essere conosciuto». Il fade out accenna a un aldilà sonoro misterioso e promettente. Che cosa succede quando Good Vibrations si spegne? Come vanno a ricomporsi quei suoni fantasmagorici che si sentono prima della fine? Dove va a finire Pinball Wizard quando non la sentiamo più? Il sax di Ronnie Ross racconta storie che non possiamo sentire sul finale di Walk on the Wild Side di Lou Reed? Ci perdiamo qualcosa quando Racing in the Street di Bruce Springsteen si avvita su se stessa e sfuma? Dove ci avrebbe portati Jimi Hendrix se il fade out non avesse portato via Little Wing dopo meno di due minuti e mezzo? Nella maggior parte dei casi la pubblicazione delle registrazioni delle session da cui sono nate quelle canzoni deludono le aspettative: il fade out non cela nulla d’interessante. La sua forza è in quello che non si ascolta. Il fade out non svela il mistero delle canzoni, lo alimenta facendoci immaginare mondi sonori sconosciuti persino a chi quelle canzoni le ha scritte, cantate, suonate.
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