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L’originalità è sopravvalutata?

originalitaSiamo abituati a considerare l’originalità un valore assoluto, anche in quelle cose piccole e fatue che chiamiamo canzoni pop. Ci indignano gli autori che plagiano una composizione o un passaggio melodico. Carichiamo i loro video su YouTube, li mettiamo a confronto con l’originale a cui si sono diciamo così ispirati e li deridiamo pubblicamente. Eppure alcune canzoni che stanno alla base della musica che amiamo – persino alcuni capolavori – sono plagi. Autori attivi negli anni ’60, vicini culturalmente e anagraficamente al folk pre industria discografica, hanno scritto pezzi magnifici basandosi su musiche altrui, e senza citare le fonti. Un po’ perché il folk era anche quella cosa lì, un bagaglio di musiche che passava di generazione in generazione ed era usato per raccontare nuove storie, senza porsi domande su chi per primo aveva ideato note in molti casi catalogate sotto la voce “traditional”. Un po’ perché negli anni ’60 non era diffusa l’odierna sensibilità verso la tutela del diritto d’autore. Un po’ perché in alcuni frangenti era difficile risalire agli autori. E un po’, ovviamente, per egocentrismo e avidità.

Gli esempi sono numerosi e illustri, senza tirare in ballo Bob Dylan, l’artista che più di ogni altro è stato al centro del dibattito sui plagi nella musica rock e dintorni, non solo per le creazioni folk anni ’60 ma anche per dischi più recenti. Ne bastino due: Folsom Prison Blues di Johnny Cash e Dazed and Confused dei Led Zeppelin, che sono cover non dichiarate rispettivamente di Crescent City Blues di Gordon Jenkins e dell’omonimo pezzo di Jake Holmes. Una cosa inammissibile, oggi: un cantante e un gruppo che prendono una composizioni altrui, cambiano parzialmente il testo, adattano la musica al proprio stile e non accreditano gli autori originali. Alcune di queste vicende, e le due citate in particolare, si sono chiuse con risarcimenti economici dentro e fuori i tribunali, ma non è questo il punto. Non voglio considerare la questione in un’ottica legale, ma artistica. Vederla da nostro punto di vista, di ascoltatori consapevoli. Non m’interessa sapere se hanno ragione gli eredi di Marvin Gaye oppure Pharrell Williams e Robin Thicke. Voglio capire fino a che punto la coscienza che si tratti di un plagio cambia il valore che attribuiamo a un’opera d’ingegno come una canzone.

Uscissero oggi, quei pezzi, chiameremmo i loro autori ladri. E invece, forse perché quelle e altre canzoni sono entrate nel nostro immaginario prima di renderci conto che si trattava di appropriazioni indebite, continuiamo a chiamarli geni. Ma è tutto qui? È solo ignoranza? È perché ci hanno fregati prima che ce ne accorgessimo e ci siamo affezionati a opere contraffatte? Oppure sapere che My Sweet Lord di George Harrison o Creep dei Radiohead non sono interamente originali non cambia la sostanza del nostro parere su di esse? Quanto conta l’originalità nel definire il valore di una canzone? La bontà del risultato finale può farci dimenticare il fatto che un testo o una melodia non sono inediti?

A volte la musica rock e dintorni è presa troppo seriamente. «Nessuno di noi ruba, tutti prendiamo in prestito», disse una volta B.B. King. Nell’espressione «prendere in prestito» sta tutta una concezione della musica popolare come tradizione condivisa, una forma d’arte minore che la gente si scambiava liberamente. Senza la pretesa di scrivere opere importanti, solo di raccontare una storia. La musica popolare era di tutti e tutti la potevano prendere a prestito, cambiarla, usarla a proprio piacimento, una concezione che è entrata in conflitto con la nascita dell’industria discografica e la crescita dei profitti derivanti dalla musica. E però venire a conoscenza del fatto che metà delle canzoni del debutto dei Led Zeppelin contengono materiale preso da incisioni altrui non mi ha fatto cambiare idea sul valore del disco, semmai mi ha fatto riflettere sull’onestà intellettuale del gruppo e sui valori del periodo in cui esso operava.

E poi, che cos’è l’originalità? Se c’è una cosa che l’hip-hop ci ha insegnato è che un grande pezzo può essere costruito anche basandosi su elementi preesistenti, ci ha fatto capire che può esserci creazione anche se non c’è una sola nota ideata appositamente per quella canzone. Più ci penso e più mi convinco che quando una registrazione è carica d’espressività e ha un alto valore estetico il discorso sull’originalità diventa marginale perché con quegli elementi preesistenti è stato creato qualcosa di realmente nuovo e significativo. È per questo che puntiamo il dito sui Coldplay e molto più raramente sugli Steely Dan. Perciò continuerò ad ascoltare Folsom Prison Blues, augurandomi che Gordon Jenkins si sia goduto i 75 mila dollari che ha giustamente reclamato e meritatamente guadagnato svelando il trucco di Johnny Cash. So che quella canzone è un plagio spudorato, ma continua a suonare come un capolavoro.

 

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