Angel Deradoorian aziona il pedale del loop, s’allunga col microfono sul tamburo della sorella Arlene che batte il secondo e il quarto accento. È una base elementare, sono le fondamenta. Ripetono l’operazione per due, tre volte con nuove combinazioni ritmiche che, messe in loop, vanno a sovrapporsi l’una sull’altra finché la canzone prende vita. Angel imbraccia il basso Hofner e comincia a cantare con la sorella che l’accompagna con veloci figurazioni binarie e vocalizzi eccentrici. Oppure suona poche note al basso, le campiona dal vivo, posa lo strumento e con la mano sinistra le suona su una piccola tastiera come accompagnamento mentre la destra corre sul sintetizzaore Juno-60 della Roland. C’è qualcosa di semplice, eppure affascinante in questa operazione. Scomposta nei suoi elementi primari e poi ricomposta sotto i nostri occhi, la musica di Deradoorian non perde il suo fascino distintivo. Le canzoni si rivelano con l’ingegnosità delle costruzioni meccaniche, il sentimento della musica pop e il mistero della psichedelia. A fine concerto lei smonta l’attrezzatura e a chi le chiede un autografo disegna cuoricini, segni della pace e funghetti. Se è psichedelia, è psichedelia impalpabile e “trascendentale”.
La ragazza che stava sulla copertina di Bitte Orca avvolta in una macchia d’inchiostro rosso ha cominciato a cantare davvero come vocalist dei Dirty Projectors. La leggenda vuole lei e le sue sventurate compagne Amber Coffman e Haley Dekle fossero costrette da Dave Longstreth a ore e ore d’esercizi vocali per sviluppare le armonie scintillanti della band. Molto è rimasto di quell’esperienza nel modo in cui la sua voce e quella della sorella si rincorrono e rispondono – e del resto, incoraggiate dal padre, le due ragazze armonizzano da sempre. Vibranti o morbide, acrobatiche o orientaleggianti, le parti vocali hanno una qualità preclusa a molti artisti rock contemporanei semplicemente incapaci di tanta grazia e preoccupati di mimare un sentimento più che a crearlo con la giustezza delle parti. Nella musica di Deradoorian c’è traccia anche del gruppo che divide con Avey Tare, gli Slasher Flicks, di quel senso d’instabilità, degli intrecci strumentali, del carico d’informazioni sonore, del senso di mistero che avvolge le canzoni, della sensazione di camminare su un filo sottile fra psichedelia e pop, fra ciò che è arcano e ciò che è palese.
Le due musiciste non si preoccupano delle reazioni di chi le guarda. Aprono con una serie di bordoni sinistri e cupi, raramente guardano in direzione del pubblico, sono concentrate sugli incastri ritmici e armonici delle composizioni. Una di fronte all’altra, separate dagli strumenti ma idealmente e fisicamente proiettate l’una verso l’altra, Angel e Arlene Deradoorian riducono ai minimi termini le canzoni dell’ultimo album The Expanding Flower Planet, tipico caso di disco amato, e tanto, però da pochi. L’attuale configurazione a due è frutto delle circostanze, se avesse un budget maggiore l’americana girerebbe magari con una band, ma la musica prodotta e il modo in cui è assemblata sono perfettamente in sintonia con questi tempi in cui le tessiture sono più importanti dei singoli gesti musicali, degli assoli, a volte persino delle melodie. Il lavoro di sottrazione non toglie fascino alle composizioni, le porta altrove. Ci porta in un “altrove”.
Deradoorian si è esibita martedì 27 ottobre al Biko di Milano
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