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La rabbia e il cordoglio

David BowieVa così, su Facebook. Per esprimere il dispiacere per la morte di questo o di quel personaggio pubblico bisogna dimostrare d’esserne un fine conoscitore. Esibire patente e libretto agli sbirri del cordoglio che questionano: lei non conosce a sufficienza il soggetto e perciò non ha diritto a rammaricasi pubblicamente della sua dipartita. Là fuori, nel mondo reale, non accade nulla di simile. Di fonte a un «Che tristezza, è morto Lemmy», nessuno vi sottopone a un interrogatorio su quanti album dei Motörhead avete ascoltato, quanti ne avete acquistati, quanti concerti avete visto, quando avete scoperto la band. E invece su Facebook lo fanno, eccome, e il fenomeno si ripete immutabile a ogni morte di star, ultimo in ordine di tempo David Bowie. Il cordoglio degli uni è punteggiato dalla rabbia degli altri. Alla morte di un rocker eccellente è un fiorire di post mesti, di video d’archivio, di citazioni, di rip. E quando la timeline listata a lutto s’allunga pericolosamente, ecco che spuntano i fustigatori pop, quelli che vi chiedono il patentino di fan, come se il cordoglio o anche solo una lieve afflizione fossero appannaggio di un’élite.

Arrivano alla spicciolata, i poliziotti del cordoglio. Puoi scommettere che tempo un giorno o poche ore arriverà un post di questo tenore: «Oggi tutti fan di Lemmy, eh?». Una volta scollinato il primo messaggio, seguiranno altre manganellate virtuali: «Se ogni persona che rimpiange Joe Cocker avesse comprato un suo disco, oggi sarebbe primo in classifica» oppure «Fino a ieri non vedevo tutti questi video dei Ramones sulle vostre bacheche, ipocriti». E via con le critiche a lamentazioni con dentro le frasi fatte, perdonateci ma non abbiamo fatto il classico, e via con post acidissimi rivolti non si sa bene a chi, come se gli scriventi conoscessero per filo e per segno le passioni, gli ascolti, i gusti, il passato d’ogni singolo amico che hanno su Facebook. Come se questi piccoli Grandi Fratelli fossero in grado di scrutare la buona fede altrui dando un’occhiata a una ventina di post.

Le lamentele dei poliziotti del cordoglio sono tutte generiche. Riuniscono nel loro bel giudizio acidulo tutto quanto Facebook. Si riferiscono a un vago “voi”. Mica puoi scrivere sulla bacheca di qualcuno: «Caro Luigi oppure Franco o Luciana o Serena, condividiamo solo l’amicizia su Facebook, mai ci siamo visti nel mondo reale, nulla so di te se non le tre cosette che posti di tanto in tanto. Però permettimi di dubitare circa la sincerità della tua tristezza per la morte di B.B. King». A scriverlo sul serio si farebbe la figura degli squilibrati, persino su Facebook dove si esprimono giudizi sugli altri in un nanosecondo, e sono spesso feroci e definitivi. E allora la reprimenda arriva dall’alto, distribuita a pioggia, gettata sul capo di tutti e quindi di nessuno. Non è dato sapere da dove provenga questa sicurezza sulla storia, gli ascolti, le emozioni degli altri.

E poi, se anche fosse? È vero che oramai postare un video o un cuoricino spezzato dopo la morte di un cantante famoso è un tic, è un modo per esserci, non nel lutto ma sulla bacheca degli altri. Ma c’è qualcosa di profondamente sbagliato nel farlo? Se anche una persona che poco sa di Pete Seeger, Johnny Winter, Ornette Coleman o Pierre Boulez si dispiacesse per la loro morte? Se fosse stato sfiorato dalla loro musica? Se volesse partecipare a modo suo, nel suo piccolo a una rappresentazione collettiva del cordoglio? Artisti come David Bowie hanno dato tanto, e a molti quel che basta per abbozzare un ricordo o una smorfia virtuale di rammarico. Si scopre, dopo la morte di Bowie, che anche i dischi non paragonabili ai classici, i Tonight e gli Heathen, hanno rappresentato qualcosa per qualcuno, e non importa se quel qualcuno per distrazione, età o disinteresse non è mai entrato in profondità nel mondo di Bowie. Il cordoglio virtuale, anche quello superficiale, ci dice che quell’artista è patrimonio collettivo. E per un giorno o due, forse una settimana, le bacheche si riempiranno un po’ più della sua musica e un po’ meno di sciocchezze acchiappaclick. E magari qualcuno, da qualche parte, comincerà ad ascoltare Bowie o B.B. King. Per i poliziotti del cordoglio sono ritardatari da sanzionare. Per me sono i benvenuti.

4 replies »

  1. Invece a me questa tendenza , quella del RIP compulsivo , del superlativo post mortem fa pena . Non c’è nulla di acido nello sperculamento di quelli che ” Mango , un grande artista che ha segnato la nostra vita , la terra ti sia lieve ” e poi conoscono appena un paio di pezzi infilati in una compilation Made in Italy , di quelle che i senegalesi vendevano un tempo fuori dalla metro .
    Ma quale ” poliziotti del cordoglio ” , bisogna essere davvero ottusi per non vedere quando il coccodrillo funebre sia ormai un tic del social . Cosa pretendi ? Ci vorresti compatti nella lacrima ?
    Se la tristezza per la perdita di uno dei tanti eroi musicali è autentica , beh , non ci si senta chiamati in causa e si lasci dubitare ( chi vuole ) dei fiumi di lacrimoni che inondano ogni volta la rete . Gli artisti -in vita – hanno bisogno di presenza , condivisione , sostegno . Hanno bisogno che il loro lavoro venga acquistato . Qualcosa mi dice che se tornassero tra noi prenderebbero a calci in culo le tante vedove della loro Arte e poi la direbbero quella frase : – Stronzi del cazzo , che oggi mi piangete inconsolabili , potevate comprarvelo qualche CD , avrei campato meglio – Perché per un Bowie c’è un Mango , per ogni Lemmy c’è un Ivan Graziani , per ogni BB King c’è un Roberto Ciotti. Sei un conformista .

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    • L’idea del conformista, qui, è che i poliziotti del cordoglio si arrogano il diritto di decidere della sincerità e insincerità altrui senza avere alcun concreto elemento di giudizio per farlo. Qualcuno scrive su Facebook «Mango, un grande artista» e qualcun altro, senza avere mai scambiato due parole con lui, decide arbitrariamente che quella persona è insincera e quindi va “sanzionata”. Scrivi, poi: «Ci vorresti compatti nella lacrima?». Non l’ho scritto, non l’ho pensato, non c’è alcun passaggio nel post a suggerirlo. Se non altro, ti è piaciuta la parte in cui definisco «tic» l’abitudine al mini-coccodrillo su Facebook: vedi, almeno su una cosa sei d’accordo con me.

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