L’album è morto e sepolto. In via di decomposizione. Lo leggiamo, lo sentiamo, lo ripetiamo da quando iTunes ha trasformato ogni canzone in un singolo. Internet ha messo in discussione l’idea dominante fin agli anni ’60 che il supporto naturale per la musica pop-rock è l’album. È vero, i singoli sono sempre esistiti, ma da quando la tecnologia ci ha concesso libertà di scelta abbiamo smesso di sentire dodici canzoni di fila. La principale fonte d’ascolto della musica oggi è YouTube dove in larghissima maggioranza si cercano singole canzoni. Spotify, il servizio di streaming più celebre al mondo, ha reso noto che solo un utente su dieci ascolta un disco per intero. Lo strapotere delle canzoni s’è insinuato persino nella classifica degli album di Billboard che da poco più di un anno viene compilata contando anche i download e i passaggi dei singoli pezzi nelle piattaforme di streaming. Significa che un album può entrare in classifica anche sull’onda dell’ascolto di pochi brani particolarmente popolari. A molti è parsa la pietra tombale sulla vecchia idea di album.
Perché allora se ne continuano a produrre? Perché la maggior parte dei musicisti va avanti imperterrita a riunire un certo numero di canzoni in un contenitore virtuale con un titolo e un’identità, per quanto vaga? Perché nel 2016 un’idea tanto vetusta sopravvive? Di sicuro l’album è ancora un formidabile strumento promozionale e lo dimostrano i casi recenti di Rihanna e Kanye West. La prima ha pubblicato Anti, uno di dischi pop più attesi degli ultimi tempi, usandolo come strumento di marketing per attirare utenti su Tidal. La piattaforma di streaming americana fondata da Jay-Z ha un gran bisogno d’incrementare il numero di sottoscrittori per non continuare ad annaspare dietro Spotify e Apple Music. Anti è stato perciò offerto in download gratuito previa iscrizione a Tidal. A chi l’ha scaricato è stata concessa la possibilità di usufruire del servizio di streaming gratuitamente per tre mesi, un periodo di prova che non avrebbe ricevuto il medesimo numero di adesioni senza il traino del disco. Si parla di un milione di download pagati dall’etichetta Roc Nation di Jay-Z che ha sotto contratto Rihanna, il tutto nel quadro di un accordo da 25 milioni di dollari (una stima) stretto con Samsung. Se gli U2 hanno venduto Songs of Innocence alla Apple che l’ha inserito nei nostri cloud nel tentativo di rilanciare iTunes, Rihanna e Tidal hanno usato Anti come esca per cercare di strapparci dalle braccia della Apple e delle piattaforme di streaming. Al momento del lancio, Rihanna ha pubblicato su Instagram una foto in cui indossa un paio di cuffie D&G da 9000 dollari e il commento «listening to Anti».
L’operazione ha lasciato dietro di sé una scia di dubbi circa la contabilizzazione di download e streaming nelle classifiche di vendita e varie riflessioni su che cosa significhi oggi l’espressione «disco di successo». Ma se l’operazione può dirsi riuscita è perché l’album ha ancora un valore, se non altro come mezzo per attirare l’attenzione di grandi masse di persone. E lo ha anche dal punto di vista identitario, per chi lo produce. Rihanna ha scelto l’album come mezzo per dimostrare di saper «fare le cose a modo mio», come recita una delle sue nuove canzoni. Qualunque sia il vostro giudizio su Anti, il disco esprime la voglia di prendersi certe libertà, allontanandosi dal profilo delineato nei precedenti lavori, concepire il disco come unità arrivando persino a non includere singoli di successo pubblicati durante il 2015, di cui uno nientemeno che con Kanye West e Paul McCartney. E a bene vedere, il concetto di album inteso in modo ancora più stringente sta dietro alcune fra le migliori e più acclamate produzioni recenti: To Pimp a Butterfly di Kendrick Lamar, Vulnicura di Björk, Carrie & Lowell di Sufjan Stevens sono veri e propri concept, né più né meno come i maltrattati, fuori moda, odiati dischi progressive anni ’70. Sempre restando nel pop, i casi di 1989 di Taylor Swift e 25 di Adele hanno dimostrato che in certi straordinari casi gli album vendono persino in formato fisico, realizzando numeri degni di altre epoche della discografia.
Che gli album «still matter», come ha detto Prince nel corso della cerimonia dei Grammy dello scorso anno, l’ha dimostrato anche il caso di The Life of Pablo. Com’è noto, Kanye West l’ha lanciato l’11 febbraio con un evento al Madison Square Garden di New York. È stata una delle presentazioni più bizzarre e clamorose che si ricordi, seguita da una campagna a dir poco incoerente portata avanti da West dal suo account Twitter. Il disco ha seguito un iter accidentato ed è servito per attirare utenti su Tidal, al punto che la pubblicazione in formato fisico o su iTunes è stata apparentemente cancellata, o per lo meno così ha twittato il rapper. Nel corso dell’evento newyorchese West ha suonato The Life of Pablo da un laptop, con la gente sugli spalti ad ascoltare, un fatto spiegabile con le attenzioni che da sempre il rapper attira e con le aspettative che la sua musica suscita dopo l’album del 2013 Yeezus.
In realtà, il pubblico ha assistito a Yeezy Season 3, presentazione anticonvenzionale della linea di moda del rapper. Il disco è stato utilizzato come colonna sonora e catalizzatore d’attenzione: centinaia di modelle e modelli, si dice pagati 80 dollari ciascuno, erano sparpagliati in platea secondo le indicazioni dell’art director Vanessa Beecroft, e i loro vestiti non avrebbero ricevuto tanta attenzione se l’evento non fosse stato abbinato all’ascolto di Pablo, la cui natura è talmente liquida e instabile che nel breve tempo intercorso dalla presentazione all’arrivo su Tidal la scaletta è cambiata e nuove canzoni sono apparse. È stato l’album a convincere migliaia di persone a spendere da 50 a 135 dollari, e più nelle piattaforme di secondary ticketing, per ascoltare un disco suonato da un computer portatile, vedere da lontano una nuova collezione di vestiti e godersi su uno schermo 30 secondi di promo di un videogioco ispirato al passaggio a miglior vita della madre di Kanye West. Ovviamente Yeezy Season 3 è stato trasmesso in diretta streaming da Tidal, e persino nei cinema di venticinque Paesi.
L’incisione dei dischi non è più il core business degli artisti, che a volte si prendono persino la libertà di regalare ciò che una volta rappresentava il loro principale mezzo di sostentamento. Questo ha liberato paradossalmente nuove energie, modificando la natura stessa di quello che siamo soliti chiamare album. Era una dichiarazione artistica, un prodotto fisco messo in vendita in un negozio, il mezzo che catalizzava passioni viscerali, un mondo in cui calarsi e riconoscersi. Oggi è anche uno strumento di marketing, un modo per rafforzare un brand, un mezzo per occupare la discussione pubblica, il centro di campagne di marketing e sinergie. È straordinario come un’idea tanto astratta resista in un mondo che sta facendo di tutto per metterne in dubbio l’esistenza.
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una volta ho chiesto al trombettista Fabrizio Bosso: “se i cd si vendono sempre meno, perchè voi jazzisti li pubblicate sempre? “. Risposta : per noi è l’unico modo per farci conoscere.
per quanto riguarda la classifica di Billboard sugli ascolti in streaming credo che sia una classifica senza senso. Se io mi compero un disco e l’ascolto 100 volte in un mese sicuramente il mio ascolto non viene considerato in quella classifica
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