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Com’è l’album numero uno in Inghilterra e Stati Uniti?

The 1975 monomusicmagE quindi com’è il disco finito al numero uno sia nel Regno Unito, sia negli Stati Uniti? Che cosa c’è dietro questo strano miscuglio di sincerità e cinismo, di post rock e funk-pop? C’è che l’ascolto del secondo album degli inglesi 1975 è un’esperienza frustrante. Perché il cantante e autore Matthew Healy ha un gran talento nell’esporsi, nel fare spettacolo delle sue debolezze, nell’infilare versi brillanti in canzonette innocue. E quando gira al massimo, la band di Manchester esprime questa dicotomia con vitalità, salvo poi rovinare tutto impantanandosi in composizioni opache. I Like It When You Sleep, For You Are So Beautiful Yet So Unaware Of It è vario e ricco, pure troppo. Sarà per eccesso d’ambizione, sarà forse per mancanza di freni inibitori, fatto sta che dura 75 minuti e contiene 17 canzoni. Una follia.

Pieno di richiami all’esordio platinato, ma decisamente più ambizioso di quello, I Like It è un viaggio senza filtri, né censure nel mondo sballato di Healy. Parte benissimo con Love Me, che suona come gli Isley Brothers rifatti dai Duran Duran con in testa la coppia David Bowie-Carlos Alomar e al microfono un millennial che si prende gioco della cultura della celebrità e di se stesso. «Eccoci a rappresentare il declino negli standard di ciò che riteniamo accettabile», canta Healy in uno dei pezzi più vitali e frenetici dell’album, per poi dedicarsi nel funk-pop UGH! a un altro dei suoi temi preferiti, la droga. E no, non è capace di smettere. E sì, la cocaina procura disfunzioni erettili. Persino nel mezzo del bieco sentimentalismo di A Change of Heart riesce a piazzare un verso come «Ma hai sempre avuto ‘ste tette?» rivolto con noncuranza alla sua ragazza nel momento in cui finisce la loro relazione. In compenso, lei gli dice che «hai un aspetto di merda e puzzi un poco». Per contrasto arriva If I Believe You, dove il quartetto usa una versione stilizzata del soul anni ’70, con echi gospel che oggi si portano parecchio, per cantare di ateismo, dubbi e dolore. Dentro c’è Roy Hargrove al flicorno, e non è poco. E poi c’è The Ballad of Me and My Brain, una canzone-non-canzone sulla vana ricerca della sanità mentale. E insomma, c’è di che divertirsi e parte del merito è da attribuirsi alla penna felice del cantante.

E qui iniziano i guai. Perché dopo la traccia numero 9 il disco un po’ si ferma. Somebody Else interpreta il classico tema del tradimento in modo fin troppo canonico e da quel momento i pezzi si susseguono senza vitalità, in modo convenzionale. L’album si risolleva nel finale, a partire da Paris, che ridesta l’attenzione col suo contrasto fra tono leggero della musica e testo sulla dipendenza. Se il disco si apriva con l’immagine del cantante che legge di sé a bordo di un aeroplano – in business, suppongo – si chiude con sua madre Denise Welch in piena depressione post partum che prega Iddio che l’aereo su cui viaggia con il piccolo Matthew cada e ammazzi tutt’e due. La canzone s’intitola She Lays Down ed è la cosa più cruda che Healy abbia fatto, una ballata folk per voce e chitarra che parrebbe registrata con un solo microfono.

Bello se l’album fosse tutto come le prime e le ultime canzoni, se la band fosse riuscita a trovare un equilibro fra gli stili che ha stipato nel disco: pop, rock, funk, R&B, soul, post rock, synth pop, shoegaze, e quel po’ di kitsch da boy band. Purtroppo il quartetto non eccelle in alcuno di questi generi, ma cerca una sorta di coolness nel non darsi limiti. Saltare da un genere all’altro, non censurarsi, provare di tutto e sbatterlo in faccia al pubblico oggi è segno di libertà da ogni costrizione. Il grande mischione è il risultato di come ascoltiamo musica, è come i 1975 fanno musica. Healy è sufficientemente sveglio da farne un manifesto, cumulando segni d’ogni tipo, arrivando a citare nei testi sia Britney Spears, sia Guy Debord. Usa questa libertà per fare una grande affermazione sulla forza della sincerità, ma un po’ di sintesi e la volontà di sovvertire l’istinto rassicurante del pop invece di assecondarlo avrebbero reso più potente la sua dichiarazione.

 

 

Pubblicato originariamente su Rockol

 

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