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Vittorio Cosma, spleen per piano, orchestra ed elettronica

vittorio cosma«È una questione psicanalitica. Volevo liberarmi di questi pezzi tenuti da parte per dieci anni. E poi faccio sempre progetti collettivi, tendenti all’incontro, e questa volta volevo raccontare una parte di me che di solito tengo protetta». Negli studi milanesi di Music Production, tra Les Paul, Wurlitzer, banjo e decine di tastiere, Vittorio Cosma racconta il suo album La facoltà dello stupore. La parte protetta di cui parla è quella intima e malinconica, uno spleen che il produttore e tastierista chiama con le parole di una canzone di Pacifico, «un dolore profondo che non mi riesce di spiegare». Però lo esprime, e bene, nel disco che nella varietà delle fonti e delle atmosfere trova un filo conduttore nel pianismo minimale, in certe note ribattute attorno a cui s’addensa un mondo d’armonie, in frasi melodiche brevi e iterate, asciutte come haiku. «È la parola giusta: volevo fare dei piccoli haiku calligrafici, esteticamente proporzionati e in grado di esprimere un concetto forte».

Musicista eclettico e curioso, «uno che vive per entusiasmi», Cosma passa dalle session con gli amici Elio e le Storie Tese ai progetti d’arte contemporanea, dal lavoro di sonorizzazione di pubblicità radio-televisive all’attività con Deproducers, dalla collaborazione con Stewart Copeland alla direzione d’orchestra per Sanremo. «Sono felicemente scisso fra una parte concreta e una creativa. La prima mi permette di vivere con serenità la seconda». Dice d’essere fondamentalmente un malinconico, e del resto è innamorato di Arvo Pärt e di Ryuichi Sakamoto. «È una questione di spleen, è il senso della caducità, la coscienza della insensatezza delle cose tipiche di chi come me è ateo. Il contrappeso, come diceva Calvino, è l’ironia. Guardarsi dall’esterno e capire che i nostri dischi, i nostri proclami fanno ridere. Perché ognuno di noi ha le sue miserie e frustrazioni. Mettere assieme malinconia e ironia è il mio modo di vivere serenamente. Vorrei che parlasse la sostanza. Potrei arrivare sul palco vestito di nero, salutare alla maniera buddista e fare tre note nel silenzio più totale, ma non andrei a dormire sereno».

E insomma Cosma è uno che passa dallo scrivere musiche per la pubblicità della pasta trafilata al bronzo alla collaborazione con lo scrittore Michel Houellebecq, che nell’album recita la sua poesia La possibilité d’une île, un incontro propiziato dalla partecipazione a un film con Juliette Binoche dei Masbedo. La facoltà dello stupore, che prende titolo da una frase del padre di Cosma, «un invito alla consapevolezza delle tante fortune che abbiamo», è sintesi di un gran numero di stimoli e incontri, anche con Eugenio Finardi, Howie B, l’Orchestra di Ennio Morricone. C’è ad esempio una versione solitaria di Just One Day, il tema conduttore del film di Gabriele Salvatores Italy in a Day, e c’è un gran collage estremamente divertente chiamato Psychedelia nato in occasione di uno dei festival di cui Cosma s’è occupato, Indeepandance. «Elisa mi ha inviato alcuni vocalizzi sperimentali. Ci ho messo sopra un’orchestrazione con le tastiere, poi siamo andati nello studio di Björk in Islanda dove abbiamo aggiunto con Valgeir Sigurdsson parte ritmica, arpa, campanelli. Infine, siamo andati a Zagabria a metterci con Borgar Magnasson un’orchestra strepitosa. È venuto fuori questo meccanismo a orologeria incalzante e poliritmico, un gioco, un mega carillon».

La facoltà dello stupore è il secondo album di Cosma. Il primo, Colpo di luna, uscì nel 1995. «E andò pure bene. Era legato all’omonimo film con Nino Manfredi premiato a Berlino, era un disco antesignano di certo pianismo. Ho sempre cercato di veicolare in modo semplice contenuti di spessore, per quel che posso. L’inclusività è un valore». Non significa semplificare la musica fino a farle perdere di senso. E infatti quando parla di pop – Cosma era a Sanremo come direttore d’orchestra per Elio e le Storie Tese – s’infervora. «Ma dico, i ragazzi di 20 anni fanno ancora il giro di Do? L’ho detto ai Dear Jack e a quell’altro. Non è moralmente accettabile. Se hai 20 anni devi stupirmi, anche in una canzonetta. Fai il giro di Do? Ma vai a studiare. Sennò è come essere un pittore pop nel 2016 e ricalcare la Marilyn di Andy Warhol. Nel pop di oggi manca l’urgenza, è stata sostituita dalla ricerca del successo e dall’invasività del denaro. È tutto un canzonificio, dove ogni cosa è fatta bene, ma con manierismo, da praticoni. Ma dov’è l’urgenza?».

 

 

Pubblicato originariamente su Rockol

 

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