PJ Harvey recita tenendo le braccia distese lungo i fianchi. È magra, magrissima, un fascio di nervi impilato su due stivaletti con la zeppa. Duecento persone in assoluto silenzio l’ascoltano recitare di villaggi fantasma del Kosovo, mendicanti di Kabul, zombie tossici di Washington DC. Lei guarda dritto di fronte a sé e descrive i muri di Mališevo sforacchiati dai proiettili, racconta del bambino afgano che rincorre la sua auto per chiederle un dollaro, dà voce alla donna in carrozzella che beve chissà cosa da un sacchetto di carta sul National Mall. E intanto PJ Harvey tiene i pugni stretti, il pollice infilato fra il medio e l’anulare, come una bimba impaurita che si fa forza.
Ospite della Casa della Cultura di Milano in un’anteprima del Festival internazionale di poesia che si terrà a Genova fra il 10 e il 19 giugno, sabato scorso PJ Harvey ha letto una buona parte delle poesie contenute in The Hollow of the Hand, fuori per Bloomsbury dallo scorso ottobre. Il libro è frutto della collaborazione con il fotografo di guerra Seamus Murphy, noto per il reportage dall’Afghanistan A Darkness Visible. Fra il 2011 e il 2014 i due sono stati in Kosovo, poi in Afghanistan e infine a Washington DC, «perché lì vengono prese le decisioni». Nel libro e nel reading, le poesie di Harvey sono accompagnate dalle immagini scattate durante quei tre e altri viaggi e vi somigliano essendo osservazioni laconiche, descrizioni asciutte di panorami desolanti, a volte devastati, ma nonostante tutto pieni di vita.
Quei viaggi stanno alla base del nuovo album della cantante The Hope Six Demolition Project e prima o poi diventeranno un film. Il disco è stato inciso in un ex palestra sotto la Somerset House di Londra, di fronte a un pubblico pagante, un’esperienza a metà fra esperimento musicale e installazione d’arte. È un lavoro crudo, innervato d’elettricità, sconquassato dai suoni scuri di sassofoni, soprattutto baritono e tenore – dentro ci sono anche due ottimi musicisti italiani che accompagneranno Harvey in tour, Enrico Gabrielli e Alessandro Stefana. L’album somiglia a una foto scattata da Murphy a Mitrovicë nel 1999: in una strada dissestata, un bambino osserva il fuoco che divora il secondo piano di una casa, mentre un amico soffia dentro a uno strumento giocattolo. Ma com’è successo che la musicista che un tempo si definiva «felice e sanguinante» per il suo uomo, che cantava la goffaggine nell’indossare un vestitino che la faceva sembrare «traboccante come un albero carico di frutti», che esponeva le sue pulsioni sessuali senza pudore, e insomma com’è che una così ora se ne va in giro per l’Afghanistan a interrogare cani randagi?
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