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Train Zeppelin: perché?

Train ZeppelinUn giorno qualcuno si deciderà a scrivere la storia dei cover album e quando si troverà a che fare con Train does Led Zeppelin II dovrà rispondere alla domanda: perché? Dei californiani dovreste sapere molte cose: campioni del roots-pop americano; canzonettari di gran successo; vincitori di tre Grammy e svariati altri premi; band per tutte le stagioni che trovate ovunque, dalle celebrazioni di Miss Universo a Ballando con le stelle, edizione americana; autori di una delle più popolari canzoni di Natale uscite di recente; professionisti di valore e molto piacioni. I Train sono tante cose, ma non un gruppo hard rock. E perciò viene da chiedersi: perché hanno scelto di rifare canzone per canzone, riff per riff il secondo album dei Led Zeppelin? E perché hanno deciso di essere così spudoratamente fedeli all’originale?

Abbiamo una prima risposta: lo fanno per beneficenza. I ricavati della vendita di Train does Led Zeppelin II vanno a Family House, organizzazione non-profit di San Francisco che dal 1981 si occupa di fornire una dimora temporanea a bambini affetti da cancro o da altre gravi patologie in cura presso il Benioff Children’s Hospital. I Train hanno scelto Led Zeppelin II perché sono fan e perché in repertorio avevano già due pezzi tratti da quel disco, What Is and What Should Never Be e Ramble On, quest’ultima inclusa in versione acustica nell’EP del 1999 One and a Half. Essendo loro uno dei gruppi rock più uncool del pianeta, l’annuncio del progetto è stato accolto un mese fa da articoli del tipo «I Train stanno per profanare l’eredità dei Led Zeppelin» (Consequence of Sound) oppure «Ehi, Train, non aspettatevi tutto il mio amore se rifate Led Zeppelin II» (NY Daily News), col contorno di battutine sarcastiche e grandi alzate di spalle prima ancora di avere ascoltato un solo minuto di musica. Il fatto che la band abbia eseguito l’album durante la crociera Sail Across the Sun ovviamente non aiuta.

Siccome non c’è nulla di sacro, nemmeno il repertorio di una delle più grandi rock band di sempre, ho ascoltato l’album con spirito laico e senza pregiudizi, ricavandone un paio di considerazioni. 1) I Train sono musicisti dannatamente bravi. Potete pure odiarli, ma ascoltando il loro cover album non potete non riconoscerne il talento di performer. 2) I Train sanno clonare in modo efficace la musica altrui, replicandone timbri e sfumature. Loro dicono d’avere inciso il disco nel giro di una settimana, ma è evidente che la loro ricerca su strumenti, effetti, suoni è durata mesi. Va da sé che Jimmy Page, Robert Plant, John Paul Jones e John Bonham erano un’altra cosa, l’espressività non la ricavi ricalcando lo stile altrui, ma la cosa che colpisce maggiormente è la fedeltà di Pat Monahan & compagni a Led Zeppelin II, uno dei monumenti della band inglese, l’opera che ha aperto nuovi orizzonti diciamo così metallici alla musica di matrice rock-blues.

Monahan, che ha cantato in gioventù in una cover band che rifaceva anche gli Zep, offre una buona prova e con l’uso dell’effettistica replica la “presenza” della voce di Plant e rivaleggia con i tanti suoi epigoni, tranne che nell’estensione della voce – neanche Plant arriva più dove arrivava Plant, ma questo è un altro discorso. Il chitarrista Jimmy Stafford ha sempre indicato Page fra le sue fonti d’ispirazione, ma qui va oltre, studiando ogni lick, ogni distorsione, ogni timbro con una venerazione che sconfina nel maniacale (con l’aiuto del secondo chitarrista Jerry Becker e del musicista aggiunto Luis Maldonado). Hector Maldonado e Drew Shoals replicano rispettivamente lo stile plastico di John Paul Jones e il drumming di John Bonham, anche se Moby Dick non è ricreata in modo filologico. E per lo meno ascoltato in streaming in cuffia, il disco ha un suono brillante e spettacolare. Monahan ha raccontato a Howard Stern di avere chiesto a Page la benedizione del gruppo. Il chitarrista non ha risposto, ma avrebbe pronunciato una frase del tipo «Mi va bene qualunque cosa».

Resta sospesa quella domanda – «Perché?» – che non si esaurisce con la faccenda della beneficenza o con l’essere fan. Nel tentativo di rifare in modo calligrafico un album di quarantasette anni fa, né più né meno come musicisti classici che eseguono uno spartito cercando di restare fedeli all’intenzione del compositore, Train does Led Zeppelin II è ben fatto, ma non ha ragion d’essere dal punto di vista artistico. Non offre un nuovo punto di vista su queste canzoni, si limita a omaggiarle. Lo si ascolta con piacere una volta, poi si torna all’originale. Però dice qualcosa di questi tempi in cui la musica rock tende a replicare sé stessa. Ma più di ogni altra cosa, è un disco fatto per divertimento e fortunatamente la cosa emerge dalle performance. E poi, ce li vedete i Train che rifanno in modo fantasioso i Led Zeppelin, aggiungendo un beat elettronico e una linea di banjo a Heartbreaker? Meglio così. Meglio il tributo scontato che la rilettura kitsch. E poi, metti mai che qualcuno un po’ distratto scopra un capolavoro della musica rock.

 

 

Pubblicato originariamente su Rockol

 

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