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Il più grande tributo di sempre ai Grateful Dead

dead aperturaSiccome le barriere stilistiche stanno cadendo una dopo l’altra senza alzare polveroni, non fa effetto scoprire che il più grande tributo di sempre ai Grateful Dead è orchestrato da un gruppo che apparentemente c’entra poco con i freak di San Francisco: i National. I gemelli e membri della band Aaron e Bryce Dessner hanno riunito una sessantina d’amici, hanno assegnato compiti e canzoni, hanno messo in piedi una house band per suonare con molti di loro e uscirsene con un discone che dura più della carica del vostro portatile: Day of the Dead, cinque ore e mezza di musica distribuita su cinque cd i cui proventi vanno a favore di Red Hot Organization, testa di ponte della lotta all’AIDS nella cultura pop. È un tributo a un repertorio, ma anche un omaggio alla propensione dei Dead a misurarsi con più stili, al loro eclettismo, a un modo d’intendere la musica come fatto comunitario, come rete che connette idee ed esperienze lontane dal mainstream. E insomma, stai a vedere che i Grateful Dead erano un gruppo indie.

Convocato a testimoniare lo spirito avventuroso e l’ampiezza dell’impronta lasciata dai Grateful Dead sulla musica americana, sfila una specie di who’s who dell’indie di ieri e oggi, da Lee Ranaldo dei Sonic Youth ai War On Drugs passando per Perfume Genius con Sharon Van Etten, Courtney Barnett, Jim James, Flaming Lips, Wilco – l’elenco è piuttosto lungo. Quindici anni fa questo tributo sarebbe stato pieno di jam band modello Phish, di gruppi che dai Dead avevano ereditato il gusto per la musica come session in libertà. Sarebbe stato pieno di cavalcate strumentali anarchiche, gesti musicali rétro e sentori di marijuana. E invece contiene canzoni per lo più di cinque minuti di durata, un senso della misura molto contemporaneo e qua e là l’odore di carta da musica. Per dire: il pezzo clamoroso non è Dark Star, il tour de force che i Deadheads cercano nei bootleg confrontando più versioni alla ricerca dell’improvvisazione superfreak. Il pezzone, qui, è una suite di diciassette minuti basata su Terrapin Station orchestrata dai National con Daniel Rossen e Christopher Bear dei Grizzly Bear, e ha la fantasia dell’epoca psichedelica e il rigore della musica scritta.

A dar retta ai curatori, si direbbe che l’influenza dei Grateful Dead s’estende dall’indie al country, dalla musica senegalese al jazz, dal folk all’elettronica. Ma l’aspetto più sorprendente di Day of the Dead è l’affinità trovata fra la scrittura del gruppo e la musica classico-contemporanea, e qui evidenziata a discapito delle più note e celebrate qualità improvvisative. E così Bryce Dessner trascrive un assolo del 1990 di Jerry Garcia e lo mette in riga ispirandosi a Steve Reich. Armato di melodica, il compositore minimalista Terry Riley trasforma Estimated Prophet in un mantra con la complicità del figlio Gyan. Anohni collabora con l’ensemble colto ma pop nello spirito yMusic. Gli Oneida fanno comunella con i Sō Percussion che di solito si misurano con contrappunti razionalistici e non con ghirigori misticheggianti.

 

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