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L’hip-hop non ha memoria? Il caso De La Soul

de-la-soulL’hip-hop non ha memoria? I grandi del rock sono riveriti e occupano un ruolo centrale nella narrazione dei media, mentre i veterani del rap faticano a trovare spazio. La velocità con la quale il genere si è evoluto negli ultimi trent’anni e la sovrabbondanza di stimoli offerti dalla scena contemporanea rischiano di far dissolvere l’eredità di gruppi come i De La Soul. Nel caso del trio di Long Island, poi, problemi economico-legali connessi all’uso dei campionamenti hanno impedito ai loro lavori migliori di apparire sulle piattaforme digitali. E ora il loro primo album da una dozzina d’anni a questa parte And the Anonymous Nobody… esce in modo totalmente indipendente, finanziato attraverso la piattaforma di crowdfunding Kickstarter. I De La Soul non saranno sulla bocca di tutti, ma i loro fan sono svelti e generosi: la campagna ha raccolto oltre 600 mila dollari, sei volte tanto il tetto minimo prefissato. Un miracolo finanziato da 11 mila anonymous nobodies.

Per un gruppo che ha stupito per l’uso fantasioso dei campionamenti sin dall’esordio del 1989 3 Feet High and Rising, un misto di giocosità, irriverenza e consapevolezza che si staccava nettamente dalle frange hardcore e gangsta che andavano di moda, Anonymous Nobody è stato realizzato in modo inusuale, per certi versi classico e per altri decisamente contemporaneo. I dieci elementi dei Rhythm Roots Allstars (e occasionalmente un’orchestra) hanno registrato 200 ore di musica tra funk e hip-hop, con elementi jazz, soul e rock. Le jam sono state rielaborate, arricchite e usate come basi. E insomma, al posto di campionare canzoni esistenti, i De La Soul hanno campionato la musica creata dal gruppo. Non stupisce che nell’album si respiri un’aria di grande libertà e che le canzoni esplorino un certo numero di generi musicali, un fatto riflesso nella gran varietà degli ospiti, da Jill Scott a David Byrne, passando per Damon Albarn (i De La Soul saranno ospiti anche del prossimo dei Gorillaz), Justin Hawkins dei Darkness, Snoop Dogg, Little Dragon, 2 Chainz, Estelle, Usher e altri – non Tom Waits, Willie Nelson o Axl Rose, che erano nella wishlist del trio.

Come altri album traboccanti d’idee e canzoni, Anonymous Nobody è a tratti brillante e a tratti risaputo. È orchestrato in modo intelligente e fantasioso, magari non ha canzoni che colpiscono fin dal primo ascolto e c’è qualche pezzo di troppo, ma offre momenti inattesi, un senso del divertimento appagante e costruzioni inusuali. Il finale Exodus è una specie di manifesto poetico dell’album, la confessione di chi non si sente una star, ma un anonimo che contribuisce alla costruzione di un patrimonio musicale collettivo, un’idea riflessa dal modo in cui il disco è stato prodotto e finanziato. Altrove Pos rappa: «Two words: I’m mortal. But the fans lift ‘em both together and remove the apostrophe». Loro si sentono persone qualunque, i fan li considerano immortali. E il resto del mondo?

«L’eredità dei De La Soul è intrappolata in un limbo digitale», titolava tempo fa il New York Times. Nel 2014 il trio offrì gratuitamente per un giorno gli mp3 dei primi sei album, fra cui i fondamentali 3 Feet High and Rising e De La Soul Is Dead, dischi che tuttora non trovate su Spotify o iTunes e che la Warner tiene per l’appunto in un limbo a causa di problemi legati ai permessi digitali dei campionamenti. Con il suo sound organico e l’assenza di sample, Anonymous Nobody non avrà di questi problemi ed è qui per ricordarci che l’eredità dei De La Soul sarà sì intrappolata in un limbo digitale, ma che il loro spirito è vivo in un’epoca in cui «gli androidi leggono i loro rap dagli iPhone» (dal testo di Royalty Capes). Il loro non è il sound del momento, però non cede alla nostalgia. «Sono un vecchio scoreggione», dice a un certo punto Dave ironizzando sullo status di dinosauri del rap. Mica vero. Mentre ci voltavamo indietro credendoli dispersi, i De La Soul ci superavano e ora ci osservano dallo specchietto retrovisore.

 

 

Tratto da una recensione di Rockol

 

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