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Miranda Lambert, la ragazza odiata dal barista

miranda-lambertParcheggia l’auto sul retro, ché è meglio non farsi vedere, s’infila in un bar e beve fino a mattina. Odia diventare un clichè e invece eccola qua, la ragazza che il barista odia. Non che le persone attorno a lei siano granché: gente che si sfila la fede, la infila nella tasca dei pantaloni e cerca di rimorchiare facendosi coraggio a sorsi di whisky. Alla fine resta sola sotto la luce impietosa del mattino, la camicia che puzza di fumo, e però si capisce che ci sta da Dio in quel postaccio a esibire la propria tristezza come un souvenir. Non fatevi sviare dall’aria da brava ragazza, dalla presenza sui rotocalchi per l’amore sfortunato con Blake Shelton, dal talent che l’ha lanciata. Miranda Lambert è una delle voci migliori uscite nell’ultima dozzina d’anni dalla fabbrica di hit di Nashville. Il country del 2016 passa da storie come questa contenuta nel sesto album della cantante texana, un lavoro sfaccettato e ambizioso, doppio persino, chiamato The Weight of These Wings.

«Non potrei mai fare un aperte-vigolette heartbreak album chiuse-virgolette», ha detto Lambert. Ci è andata vicina. Le canzoni di The Weight of These Wings fanno pensare inevitabilmente alla fine della sua storia con Shelton, quasi un lustro durante il quale i due sono stati la royal couple della country music under 40. Ma il disco comunica anche con chi non ha letto un solo articolo di gossip, perché ha tutto. Ecco, magari non ha canzoni che ricorderemo fra vent’anni, ma il resto c’è: ottime performance musicali che partono dal country e sconfinano nel rock, nel pop, nella canzone d’autore; una voce vera e vibrante, forse un po’ meno irruente di una volta; autori che conoscono il mestiere e sanno cos’è una composizione solida; una produzione perfetta di Frank Liddell, Glenn Worf, Eric Masse che qualcuno – esagerando, ma va bene, aiuta a capire un certo lato del disco – ha paragonato a quelle di Daniel Lanois per Emmylou Harris e Willie Nelson.

Diviso in due, The Nerve le prime 12 canzoni e The Heart l’altra dozzina, l’album è l’opera più ambiziosa di Lambert. Oltre le ali – metafora stucchevole, ma tant’è – ci sono le armi. La donna che dopo l’ennesima rapina cantava che forse «è arrivata l’ora di comprare una pistola» conosce il grande country e gli irregolari, è perfettamente calata nel mainstream, però rifà Covered Wagon di Danny O’Keefe e le viene pure bene. Si comincia con una linea di basso essenziale, più U2 che Dolly Parton, e poi via con pezzi in cui la voce penetrante di Lambert che va quasi in distorsione, ci sono i classici impasti elettro-acustici, le chitarre steel e gli effetti twangy, ma pure particolari inattesi e fondali di synth. C’è la sensazione che l’album sia stato registrato su nastro e sostanzialmente dal vivo, cosa che dalle prime informazioni disponibili parrebbe vera – insomma, il disco ha quel tipo di vivacità e di, perdonatemi la brutta parola, autenticità. Ci sono momenti leggeri tipo Pink Sunglasses, ma la produzione leccata di certi dischi country è rimpiazzata da una serie di segni musicali brillanti, variegati, espressivi – “organici”, come dicono negli Stati Uniti. E una buona melodia, qua dentro, non manca mai.

È il disco di una donna che sguazza nel dolore. Però lo fa scalciando e viaggiando e bevendo. E pure infilandosi nei letti sbagliati, da cui scappa alle 7 del mattino con le scarpe in mano per non farsi beccare. È un saliscendi emotivo che si riflette nel carattere sfaccettato delle musiche, che pure compongono un insieme coerente. La prima metà è più convincente, una raccolta di canzoni-killer che stanno sul confine fra ortodossia ed eterodossia country, la seconda è forse più “seduta”, però alla fine l’insieme vale più della somma delle parti. Il formato doppio, in questo caso, non è solo una scelta ambiziosa, è anche il riconoscimento dell’importanza dell’album come medium in tempi di attention span inferiore ai 4 minuti, è un richiamo a tempi eroici del rock, un tentativo di accreditarsi definitivamente come artista seria. È una scelta coerente col tema dell’instabilità emotiva che attraversa le canzoni: a volte alla domanda «come stai?» non c’è una risposta breve.

The Weight of These Wings è il racconto di un processo di ricerca e di transizione. Anche musicale. Al posto di scegliere fra tradizione e contemporaneità, fra alternative e mainstream, Miranda Lambert traccia una terza via dov’è lecito essere popolari, conservatori persino, e intanto veicolare significati e farlo con mestiere. Lei si sente continuatrice di una tradizione, come canta in Keeper of the Flame, e finisce per piacere anche a chi ama la musica americana, sì, ma il country fino a un certo punto. Alla ricerca della «libertà in un cuore infranto», il viaggio di Lambert passa da taverne malconce battute da fuorilegge e palchi frequentati dalle star. «Ci sono problemi là dove sto andando, ma ci andrò lo stesso», dice nella prima canzone, quasi il manifesto programmatico del disco. «Cado quando non riesco a volare, ma ho queste ruote e continuerò ad andare», assicura nell’ultima. Contraddizioni viventi come Miranda Lambert sono una benedizione per il mainstream. Se la spudoratezza emotiva è la bellezza di The Weight of These Wings, il talento vecchia scuola è la sua forza.

 

 

Pubblicato originariamente su Rockol

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