Ci voleva uno come Father John Misty, cantautore brillante allucinato narcisista prolifico irascibile, a elaborare la più melodica e strampalata teoria del caos che si sia ascoltata negli ultimi tempi. Sta dentro a un album titolato Pure Comedy, si canta della commedia umana ai tempi dei social media, di Trump, degli algoritmi, degli estremismi. Viene in mente una recente vignetta del New Yorker in cui Dio e un angelo osservano il nostro pianeta devastato da una guerra nucleare, proprio come si guarda una serie tv: «Non male. Finale prevedibile, però». Father John Misty non crede in Dio e perciò è più probabile che nel ruolo di osservatori della nostra stupidità metta delle creature aliene come fece un quarto di secolo fa Roger Waters in Amused to Death. Quell’album era ispirato al saggio di Neil Postman Divertirsi da morire. Il discorso pubblico nell’era dello spettacolo, a sua volta influenzato da Il mondo nuovo di Aldous Huxley, tutta roba che il cantautore americano dovrebbe conoscere visto il gusto con il quale mette in relazione l’imminente catastrofe con la nostra dipendenza dagli strumenti di comunicazione e intrattenimento. Grazie al cielo, Father John Misty ha senso dell’umorismo e non trasforma l’album in una tirata lugubre e indignata, ma in un’incasinatissima commedia che parte con un bislacco mito della creazione dell’uomo: nasciamo con mezzo cervello perché con uno intero non riusciremmo a passare dal canale uterino. L’evoluzione incalza e, fast forward, l’uomo arriva al punto in cui può portarsi a letto Taylor Swift grazie a un visore per la realtà virtuale. Eccoci, dice Father John Misty, senza un Dio che ci comanda, senza miti, né amore: «Niente male per una razza di scimmie dementi passare da una caverna a una città a una festa permanente».
E pensare che, ad ascoltarle distrattamente, quelle di Pure Comedy sembrerebbero tutte canzoni d’amore lievemente meste, vignette ricalcate dal songwriting confessionale degli anni ’70, con dentro un po’ di Neil Young e di Elton John. Per raccontarle, Father John Misty è andato al programma di Sir Elton su Beats 1 dove ha spiegato che l’album precedente, I Love You, Honeybear, era una sorta di Frankenstein assemblato con Pro Tools. Questo no. In questo gli arrangiamenti sono in buona parte basati su pianoforte, chitarra, basso e batteria, con tutto un universo di abbellimenti che gira loro intorno. C’è il tocco del produttore Jonathan Wilson, ci sono gli arrangiamenti di Gavin Bryars e Nico Muhly. Un tempo quelli come Joshua Tillman, vero nome di Father John Misty, operavano in mondi separati dalla cultura pop. E invece lui, che ha fatto parte dei Fleet Foxes ai tempi di Helplessness Blues, appare in un video di Lana Del Rey, scrive per Beyoncé e Lady Gaga, fa cover di Rihanna. L’uomo ha più talento che senso della misura e in Pure Comedy intona qualcosa come 3000 parole nell’arco di 75 minuti, troppi. Però lo sa e in una canzone interminabile e priva di ritornello mette in bocca ai suoi spettatori parole tipo «un tempo quel tizio mi piaceva, ma le cose nuove mi fanno venire la morte». Eppure Tillman è impagabile quando dice che l’indignazione è una nuova forma d’intrattenimento e in una canzone dell’album descrive un intellettuale che in punto di morte si cruccia perché in futuro, senza i suoi commenti pungenti, omofobi e false femministe la faranno franca.
S’è capito, è un gran casino. Su YouTube c’è anche un filmato di 25 minuti titolato come l’album che pare assemblato da un ubriaco che per errore ha montato un documentario rock e un film catastrofico di serie B. E poi c’è un testo di 35 paragrafi, con l’Ecclesiaste in epigrafe, dove Father John Misty spiega che non sta né con chi crede che la realtà sia un gigantesco simulacro gestito da multinazionali, consorzi bancari e bande di pedofili, né con chi pensa che l’esperimento americano sia stato sabotato da un nazionalismo ottuso, insensato e paranoico. Lui sta con gli orsi, nel senso che auspica un ritorno alla legge di natura: meglio temere d’essere ammazzato da un grizzly che da un jihadista. C’è o ci fa? Ora che s’è tagliato la barba da boscaiolo hipster, gli è rimasta la faccia da schiaffi di chi parla seriamente e intanto ti prende in giro. Probabilmente c’è e ci fa. E alla fine di Pure Comedy spiega che le risposte alle complicatissime domande del nostro tempo sono semplici. La vita è insensata, ma non c’è nulla di cui temere, si sopravvive amando il prossimo. Che sollievo, sembra il finale del Senso della vita dei Monty Python: per una volta non è tragedia, è commedia.
Pubblicato originariamente su IL
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