L’ultimo album l’aveva registrato a casa, per lo più di notte, con le cuffie in testa per non disturbare il figlio appena nato. «Questo è l’esatto contrario», annuncia Ani DiFranco parlando di Binary. «Questo è un disco che si apre verso gli altri. Ha a che fare con l’idea di non essere sola. E così ho chiamato Maceo Parker, Gail Ann Dorsey e Justin Vernon. Lui l’ho conosciuto quando abbiamo lavorato all’opera folk di Anaïs Mitchell Hadestown, gli ho fatto fare dei cori chiedendogli di immaginare che fossero degli archi. Insomma, ho chiamato a raccolta i miei amici favolosi affinché l’album riflettesse anche il loro spirito». Il concetto chiave del disco è contenuto nella canzone che gli dà il titolo: da soli non c’è coscienza. «Più invecchio e più mi rendo conto che non esistiamo se non in relazione con qualcun altro e con il tutto. L’individualismo non è che un costrutto del nostro ego».
È una piccola conquista per la folksinger che agli esordi girava l’America in solitaria, che sceglieva per la sua etichetta discografica il motto «On her own», che dava di sé l’immagine di una donna fieramente sola. «Curioso, vero? È una cosa a cui ho molto pensato, ultimamente. Sto scrivendo un libro di memorie, uscirà fra un anno credo. La prima cosa che ho capito mettendomi a scrivere e ripensando al passato è quanto sono stata molto aiutata dalle persone. Sai, i miei si sono separati che avevo 11 anni. Per quando ne avevo 15 già vivevo da sola. Ho fondato l’etichetta Righteous Babe senza l’aiuto di nessuno, standomene orgogliosamente lontana dall’industria del disco. Scrivevo da sola le mie canzoni e le suonavo come mi pareva. Eppure mi accorgo che in ogni passaggio chiave della mia vita c’è stato qualcuno che mi ha incoraggiata e aiutata. Che mi ha permesso di vivere, in un certo senso».
«La coscienza è binaria, la coscienza gira, la coscienza è un circuito», canta Ani DiFranco nella title track. Significa, fra le altre cose, che la musica ha il potere di farti vedere riflesso nelle altre persone. «Alla fine dei concerti la gente veniva da me tremando, piangendo. Quelle persone erano emozionate perché incontravano la fonte delle canzoni che amavano. In buona sostanza mi dicevano: la tua musica mi ha aiutato ad esistere. Non sappiamo davvero chi siamo, né chi vogliamo essere o chi potremmo diventare finché non lo vediamo riflesso negli altri. Conosciamo noi stessi tramite gli altri. Ecco perché nella canzone Binary canto che la coscienza gira. Significa che non c’è coscienza nella solitudine. Per trovare te stesso, devi entrare in risonanza con qualcun altro».
Fra le novità del disco, dove s’incrociano in un suono denso folk, funk e jazz, c’è la presenza di Tchad Blake, che si è occupato del mix. Per la prima volta nella sua storia, DiFranco ha affidato il compito a un produttore esterno. «È stata un’idea del mio nuovo manager, che ho cambiato dopo venticinque anni. Ma ovviamente conoscevo il lavoro di Tchad, è uno che fa suonare i dischi in modo pazzesco. Gli ho dato carta bianca. Non sapevo cosa avrebbe fatto della mia musica. Mi ha aperto gli occhi su cosa può fare una persona creativa mixando un disco». L’album è pieno di timbri inusuali e dettagli interessanti, a partire dal suono di violino di Jenny Scheinman. Non è radicalmente diverso dai dischi realizzati dalla folksinger negli ultimi anni, vive anche degli interventi di musicisti come il sassofonista Skerik o il tastierista Ivan Neville. «Quella è gente che alza il livello della musica, automaticamente».
Un’altra cosa separa Binary dal precedente Allergic to Water: l’album del 2014 era introspettivo e influenzato dalla gravidanza, questo torna a guardare il mondo là fuori a partire da Play God, un inno ai diritti riproduttivi nato dall’idea secondo cui l’emancipazione della donna è il prerequisito della pacificazione del pianeta. Pur essendo state scritte in buona parte prima delle elezioni americane, le canzoni sono perfettamente attuali nel mondo post Trump. «Gli artisti entrano in connessione con il subconscio. E il subconscio sa cose che la mente razionale ignora. Mi è successo più volte nella vita: scrivo canzoni e dopo un po’ di tempo scopro il perché. Più divento vecchia capisco meglio che la nostra idea lineare di tempo è riduttiva. Passato e presente sono qui, adesso». In quanto all’elezione di Trump, dice DiFranco, «è importante ricordare che Hillary Clinton ha avuto più voti. Trump è diventato presidente grazie al nostro sistema elettorale, alla corruzione, alle fake news, alla pirateria informatica della Russia. Ma c’è del buono nella sua elezione, o almeno spero: ci ha dato la sveglia. Ci ha fatto capire che il fascismo non è una cosa che succede solo negli altri paesi. Abbiamo capito come può accadere. Mi auguro che l’esperienza ci renda più saggi».
Se Pacifist’s Lament è un invito a mettere da parte l’istinto che ci porta a combattere nella vita privata come in quella pubblica, ad ascoltare il prossimo e a dialogare attraverso pratiche nonviolente, Deferred Gratification offre il concetto opposto della instant gratification che tutti oggi vogliamo. «Quando ho scritto quella canzone pensavo alle persone che si mettono al servizio di altre persone o di un ideale. A chiunque si sacrifichi per qualcuno o per qualcosa. Tutti i grandi attivisti che conosco mi hanno insegnato che non si combatte per vincere. Si combatte perché è giusto, perché ti fa sentire bene, perché ti mette in connessione con gente che fa la tua stessa cosa. Ti migliora la vita. Come Sisifo, spingiamo il masso su per la montagna, ma non arriveremo mai in cima, eppure vale la pena provarci».
Oltre ad avere cambiato manager e parte del suo team, Ani DiFranco conta di ridisegnare anche il profilo dell’etichetta Righteous Babe, «non più un luogo fisico a Buffalo, ma un concetto nella mia testa, che poi è il modo in cui è partita. È un’idea che si potrà manifestare in molti modi. Di più non so dire, vivo una fase di transizione, ancora non so cosa accadrà». La folksinger suonerà in Italia il 4 luglio (Roma, Villa Ada) e il 5 luglio (Sesto San Giovanni, Carroponte). Sarà accompagnata dal bassista Todd Sickafoose, dal batterista Terence Higgins, dal chitarrista Luke Enyeart, dalla cantante Chastity Brown. «Faremo un po’ più chiasso delle ultime volte», assicura.
Pubblicato originariamente su Rockol
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