Funzionava così, se eri un musicista squattrinato di Seattle che si divideva fra la sala prove e il bancone di una caffetteria. Calava in città la produzione di un film e ti dava un assegno da 20 mila dollari per incidere una canzone per la colonna sonora. A te non pareva vero che qualcuno fosse talmente pazzo da pagare quella cifra e perciò accettavi e intanto contemplavi stupito la rappresentazione mediatica che stava nascendo sulla tua città. È quel che fecero i Mudhoney che incisero per Singles l’anti-inno definitivo a Seattle e alla sua scena rock, Overblown. Di quei 20 mila dollari ne usarono solo 182 e se ne uscirono con un pezzo che diceva «Tutti ci amano, tutti amano la nostra città, ecco perché sto pensando di andarmene ultimamente». Eddie Vedder guadagnò almeno 500 dollari dando lezioni di chitarra al protagonista del film Matt Dillon. Jeff Ament prestò una parte del suo abbigliamento a Dillon e fece da consulente grafico. Nel caso ve lo chiediate, sì, quei musicisti avevano bisogno di quei soldi. La troupe di Singles arrivò in città per le prime riprese nel febbraio 1991, i Nirvana non avevano ancora suonato in pubblico Smells Like Teen Spirit, i Pearl Jam non erano entrati in studio a registrare l’album di debutto Ten, uno dei grandi pezzi della scena era Touch Me, I’m Sick dei Mudhoney, inizialmente stampato in 800 copie. Era un’altra Seattle.
Singles fu girato prima, ma uscì nelle sale dopo il boom della scena di Seattle. «C’è una canzone dei Nirvana, vero?», chiesero i produttori al regista Cameron Crowe quando si accorsero di avere per le mani un potenziale campione d’incassi. Usando la scena rock cittadina come sfondo per storie d’amore e amicizia, Crowe contribuì con il film ad aumentare ulteriormente l’attenzione verso la città di Starbucks e della Microsoft. Fa uno strano effetto riascoltarne la colonna sonora in versione deluxe appena un giorno dalla morte di Chris Cornell, che in fin dei conti ne è il protagonista principale e che Crowe considerava «l’anima stessa della musica di Seattle e la sua tenera cupezza». Perché oltre ai pezzi già noti contenuti nel primo CD, ovvero la sua Seasons e Birth Ritual dei Soundgarden – l’edizione deluxe offre anche l’EP Poncier, dal nome del protagonista del film. Sono le canzoni che Cornell diede a Crowe, di cui solo una finì nella colonna sonora e che furono pubblicate in un CD promozionale. La storia è interessante. A un certo punto nel film, Poncier viene abbandonato dalla band e si mette a suonare da solo pre strada (la scena tagliata è riapparsa su YouTube). Ament aveva confezionato una finta audiocassetta di Poncier solista, arrivando a scrivere persino i titoli. Cornell compose e registrò canzoni abbinate ai titoli inventati da Ament. Una di essi era Spoon Man e questa versione, con il titolo ancora scritto staccato, anticipa il formidabile pezzo dei Soundgarden del 1994.
Quando si trattò di filmare la scena dei Soundgarden dal vivo, Cornell chiese a Crowe se avrebbe dovuta farla con o senza maglietta. «Falla com’è più realistico per un concerto dei Soundgarden», ripose il regista, che racconta oggi l’aneddoto nelle note di copertina della ristampa. Il cantante si guardò attorno e annunciò: «Senza!». In quel periodo, Cornell non era solo una potenziale rock star, viveva una stagione creativamente felice. Aveva trovato una nuova “voce” lavorando al progetto Temple of the Dog, stava incidendo Badmotorfinger con i Soundgarden, stava esplorando le possibilità del proprio songwriting. Lo si capisce da questi pezzi, il cui ascolto è però reso difficoltoso dal fatto che si tratta di demo abbozzati: Nowhere but You che sarebbe finita sul singolo di Can’t Change Me, trait d’union fra il progetto di Singles e la carriera solista; Flutter Girl che sarebbe riapparsa sul disco d’esordio; Spoon Man; l’inedita Missing, un pezzo decisamente minore e monocorde. E poi – ma queste non facevano parte di Poncier – la strumentale Score Piece #4 e Ferry Boat #3. Ascoltate quest’ultima e scoprirete da dove viene The Curse pubblicata dagli Audioslave tredici anni dopo.
Le canzoni di Cornell non sono l’unica novità dell’edizione deluxe. Il secondo CD si apre con Touch Me, I’m Dick, parodia del pezzo dei Mudhoney fatta dai Citizen Dick, ovvero la band fittizia formata per il film da Matt Dillon, Stone Gossard, Jeff Ament ed Eddie Vedder. La canzone, già pubblicata su vinile per il Record Store Day 2015, va ascoltata per levarsi dalla testa l’idea che la scena fosse popolata da tossici ombrosi, per capire che oltre al dramma c’erano una vitalità quasi buffonesca e un po’ di Spinal Tap. Se i brani dal vivo o in versione acustica di Soundgarden, Alice in Chains, Mudhoney e Paul Westerberg sono aggiunte gradite, ritrovare nella tracklist del secondo CD i Truly e i Blood Circus esclusi dall’edizione del 1992 per problemi di spazio serve a ricordare che Seattle non era solo Nirvana e Pearl Jam. La scaletta è completata da altri due pezzi di Westerberg, che pur non essendo della città è l’altro grande protagonista della colonna sonora, e da Singles Blues 1 di Mike McCready impegnato in uno strumentale blues con l’accompagnamento di Stone Gossard alle percussioni.
La scaletta del primo CD è quella di venticinque anni fa, con due riferimenti a Andy Wood: il pezzo dei suoi Mother Love Bone Chloe Dancer / Crown of Thorns e il tributo degli Alice in Chains Would. In fondo, tutto partì dalla morte di Wood. A Crowe venne l’idea di un film che raccontasse la sensazione di famigliarità della scena di Seattle dove aver visto i musicisti radunati a casa del manager Kelly Curtis dopo la morte del cantante, nel marzo 1990. Forse non è riuscito pienamente nel suo intento, ma il film voleva raccontare quel sentimento dipingendo un gruppo di single che si apprestano a costruire una famiglia fuori dalla famiglia, come fanno da sempre i musicisti rock. Nelle note di copertina, il regista ricorda la proposta della Warner di dirigere una serie tv «su quei ventenni che vivono nello stesso condominio e frequentano una caffetteria». Al suo rifiuto, gli fu detto che l’avrebbero prodotta ugualmente. Così nacque Friends, suggerisce Crowe.
Per chi ha amato Singles, i 18 brani aggiuntivi – il regista ne custodisce altri, per la cronaca – offrono la possibilità di dare un’occhiata al processo creativo che diede vita alla colonna sonora. Sono il “contorno” del disco, che nel 1992 non era visibile. Oggi come ieri, Singles non è il manifesto del grunge, ma una delle tante facce della musica rock della città, il versante su cui si muoveva il manager Kelly Curtis (Heart, Mother Love Bone, Alice in Chains, Pearl Jam) e non l’etichetta-chiave della scena, la Sub Pop, e insomma le radici più hard rock che punk-rock. Anche se all’epoca il film non fu preso il serio da molti e la musica tutto sommato restava sullo sfondo, oggi la colonna sonora di Singles sembra la fotografia di un momento di passaggio della scena di Seattle. Ha accompagnato quello stesso passaggio: il 1° settembre, due settimane prima dell’uscita del film, la colonna sonora era già disco d’oro e di lì a poco la gente avrebbe cominciato a battere le strade di Capitol Hill in cerca dei Coryell Court Apartments dove vivono i protagonisti del film. L’epoca delle canzoni incise con 182 dollari era finita.
Pubblicato originariamente su Rockol
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