Interviste

Algiers, fra gospel e post punk, Bibbia e Capitale

Da quando abbiamo smesso di concepire la storia del rock come una serie di stili sviluppatisi come evoluzione o in reazione ai precedenti, siamo finiti in un grande supermarket dove ci si approvvigiona a piacimento dei suoni del passato. Lo fanno anche gli Algiers, quartetto originario di Atlanta uscito allo scoperto due anni fa con un esordio che metteva assieme il sound angosciante del post punk e la forza redentrice del gospel. Ma a differenza di chi utilizza i linguaggi sonori del passato come semplici colori, gli Algiers conoscono la storia della musica e da quegli stili non prendono solo l’estetica, ma anche lo spirito. È una delle ragioni che rende interessante il loro secondo album The Underside of Power, il ritratto sonoro di questi tempi bui che è assieme sofisticato e primordiale. L’altra ragione è molto più semplice: è un disco impressionante.

«Per noi è fondamentale non separare la musica dal suo contesto psicologico e storico», conferma Franklin James Fisher, la cui voce dà un tocco soul alla musica del quartetto creando un contrasto interessante con ritmi potenti e sequenze digitali. L’idea di collage avvicina gli Algiers a un’idea post moderna di musica, di cui però rigettano l’approccio ironico e il cinismo privo di speranza. «La storia» dice l’altro membro chiave della band Ryan Mahan «è un elemento centrale in tutto quel che facciamo. Come gruppo, siamo emersi in un periodo di post modernismo estremo: ogni cosa è caricata d’ironia, c’è la sensazione che tutto sia alle nostre spalle, il senso di nostalgia prevale sulla coscienza storica. Noi invece vogliamo incitare allo sviluppo di forme di impegno nella politica, nella musica, nell’arte. È un’idea che trascende i concetti di tempo e di spazio: puoi esistere contemporaneamente nella scena no wave di New York e nella Manchester di fine anni ’70. Posti differenti, processi storici diversi, meccanismi simili. Per noi non è una questione di fondere generi musicali. Per noi vale quel che i generi rappresentano e quali mondi aprono».

Il senso di dislocazione è riflesso anche dalla provenienza geografica dei quattro membri del gruppo. La band è nata ad Atlanta, Georgia, ma il cantante Franklin James Fisher, il bassista Ryan Mahan, il chitarrista Lee Tesche e il batterista Matt Tong vivono fra Stati Uniti e Inghilterra. Mahan è americano, ma vive a Londra, Tong è inglese ed è un ex Bloc Party, ma vive a New York. Sono uno strano mix. Sul palco, Fisher improvvisa ogni tanto mosse di ballo in stile Motown, mentre Mahan si muove a scatti, come si trovasse e una serata revival anni ’80. La frammentazione di background e stili è riflessa nella musica che a quanto pare attira più il pubblico europeo che quello americano (attualmente il quartetto sta collaborando con i Massive Attack ed è in tour con i Depeche Mode), nonostante i forti richiami al Sud degli Stati Uniti nelle musiche e nello stile vocale di Fisher. I quattro sono piuttosto delusi dall’accoglienza ricevuta in America. «Meritavamo molto di più», dice Mahan, infervorato. Quanto ha venduto negli States il loro disco di debutto, l’acclamato Algiers? Fisher fa una smorfia e dice, ridendo: «Qualcosa tipo 22 copie».

Quando si è trattato di ideare il nuovo album, la band – che prende il nome dal film del 1966 di Gillo Pontecorvo La battaglia di Algeri – s’è messa in testa di rendere più estreme le idee sviluppate nell’esordio. «Le canzoni soft sarebbe state ancora più dolci e quelle arrabbiate ancora più dure», spiega Fisher. «Naturalmente quando fai un disco puoi immaginare tutto quel che vuoi, ma poi nel 95% dei casi verrà fuori qualcosa di completamente diverso e inatteso». Registrato in buona parte a Bristol, The Underside of Power è frutto di un ampliamento della tavolozza di colori a disposizione del gruppo grazie alla produzione di Adrian Utley dei Portishead e Ali Grant, e al tocco in post produzione di Ben Greenberg. L’atmosfera spesso cupa e i riferimenti alle colonne sonore italiane dei thriller anni ’70 lo rendono particolarmente inquietante. Ha un tono da film horror. «Però contiene anche le cose più leggere che abbiamo mai fatto, come la title track che è la nostra prima canzone con un parte in maggiore. Credo che nel complesso trasmetta più speranza del primo che era… monolitico».

L’idea di speranza che s’intravede nell’altrimenti cupo The Underside of Power è ereditata dalla musica gospel. Ma se nei canti di stampo religioso la liberazione avviene nell’aldilà, o comunque l’idea di una vittoria finale in un mondo ultraterreno è usata come metafora del cambiamento in questa vita, nella musica degli Algiers l’immaginario tratto dalla Bibbia è usato per chiedere – per esigere, forse – una qualche forma di ricompensa per i giusti e di castigo per gli ingiusti, oggi e qui. L’importante, aggiunge Fisher, è che «l’idea di cambiamento che il disco trasmette non sia scambiata per un sogno ad occhi aperti, per utopia. È frutto di sangue, sudore e lacrime». Per dirla con Mahan, «nella nostra musica il simbolismo del Vecchio Testamento si sovrappone al materialismo storico di Marx».

I protagonisti di queste canzoni – che sembrano scritte dai Suicide, cantate da Marvin Gaye, musicate dai Depeche Mode, suonate con la foga dei Clash – sono fantasmi. Sono spettri i morti ammazzati dalla polizia di cui si fa l’elenco in Cleveland, con i nomi accompagnati da un minaccioso «Stiamo tornando». È un’ombra proveniente da un altro mondo Fred Hampton, attivista delle Black Panthers ucciso nel 1969 con le cui parole si apre l’album. Sono fantasmi gli uomini e le donne che popolano filmati e icnografia del gruppo. Hanno un che di spettrale, in definitiva, anche certi suoni che si manifestano nell’album. «È un tema ricorrente. Il primo album si apriva con una canzone su quel che ci resta del passato, sugli spiriti che ci tormentano per ricordarci la verità. Il passato è la nebbia del film di John Carpenter Fog. Il passato non è irrilevante. Incide sulle nostre vite. Lo diceva William Faulkner che il passato non muore mai e, anzi, non è nemmeno passato».

 

 

Pubblicato originariamente su Rockol

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